Intitolata “Antonio Ligabue. L’ora senz’ombra. Il riconoscimento come artista e come persona”, la mostra tratta il tema della ventiduesima edizione di festivalfilosofia – Giustizia – in riferimento alla vicenda biografica dell’artista, dall’esilio dalla Svizzera fino ai ricoveri forzati in ospedale psichiatrico. BPER Banca da tempo si impegna per combattere ogni forma di pregiudizio tramite progetti e azioni volti alla valorizzazione della diversità e dell’inclusione, valori sui quali l’esposizione offre l’occasione per riflettere.
Sabrina Bianchi, responsabile Brand e Marketing Communication e del Patrimonio culturale di BPER Banca afferma: «Giustizia è la parola chiave di questa edizione di festivalfilosofia e ci permette di portare l’attenzione, attraverso l’arte, su temi importanti come la diversità e l’inclusione. Le dimensioni e la complessa articolazione della corporate collection di BPER Banca offrono la possibilità di presentare percorsi espositivi sempre originali, che diventano strumenti privilegiati per affrontare temi anche fra loro diversi per contenuti e profondità temporale. La proposta di questa mostra, toccante e profonda, ci permette di raccontare non solo le opere, ma la vita di un artista che, nel corso di tutta la sua esistenza, ha dovuto subire e combattere la “colpa della diversità”. E trovandosi di fronte ai suoi straordinari dipinti, sempre intensi e potenti, sarà impossibile non interrogarsi sul significato della “diversità”, per cercare, e ci auguriamo per trovare, una risposta alla domanda se sia una colpa essere diversi. Le tele di Antonio Ligabue di proprietà di BPER Banca ci permettono di aprire, per la prima volta, le porte de La Galleria all’arte contemporanea e di accompagnare il pubblico in un percorso espositivo inclusivo, progettato con il contributo di Andrea Isola. Valori, vicinanza, condivisione. È questo che La Galleria BPER Banca vuole trasmettere coinvolgendo, con un dialogo e un confronto continuo, un pubblico sempre più ampio, anche, e in particolar modo, aprendosi alle nuove generazioni insieme alle quali costruire, con l’arte e la cultura, una nuova visione del mondo e della contemporaneità».
Il percorso espositivo comprende una ventina di dipinti, realizzati dal 1929 fino all’ultimo periodo di attività dell’artista, che dal novembre del 1962 è impossibilitato a dipingere per motivi di salute.
Tra le opere della corporate collection di BPER Banca si segnalano, in particolare, “Leonessa con zebra” (1959-60) e “Autoritratto con cavalletto” (1954-55). Se la prima tela, selezionata come immagine guida della mostra, testimonia la passione di Ligabue per gli animali selvaggi, le cui anatomie sono definite a partire dalle immagini recuperate dai libri di zoologia e dalle stampe popolari, la seconda raffigura Ligabue stesso nell’atto di dipingere un gallo in uno scenario di aperta campagna, dove la natura, al pari del pittore, è ritratta in tutta la sua primordiale vitalità. È inoltre esposta “Aratura con buoi” (1953-54), opera raffigurante un contadino di spalle che spinge faticosamente un aratro trainato da due buoi bianchi su un terreno brullo, mentre in lontananza si scorgono un paesaggio verdeggiante e una città. “Ritorno dai campi con castello” (1955-57), infine, nasconde un dettaglio autobiografico: sullo sfondo, oltre il contadino, i cavalli e il cane che tornano in paese, è dipinto un lago al cui centro svetta un castello con guglie e banderuole al vento, forse ricordo della natia Svizzera.
Tra le opere provenienti da collezioni private, si segnalano “Caccia grossa” (1929), in cui Ligabue si auto-raffigura mentre guarda una delle sue scene di lotta per la vita; “Leopardo con serpente” (1937), emblema della privazione della libertà che lui sta patendo; “Autoritratto” (1940), che corrisponde all’affermazione della sua duplice identità di uomo e di artista; “Circo” (1941-1942), dipinto di stordente abilità compositiva; infine “Autoritratto con mosche” (1956-1957), aperta allusione alla fine della vita.
«Se si guarda nell’insieme all’opera di Ligabue – scrive Sandro Parmiggiani – ci si rende conto che lui è essenzialmente un artista tragico, che della vita ha spesso rappresentato l’aspetto più drammatico e doloroso: la lotta per sopravvivere o per affermarsi, in cui una vittima soccombe al carnefice e viene sacrificata; il lento cammino delle sue umane sembianze verso l’esito finale. Certo, ci sono anche le scene di lavoro nei campi, con i contadini e il bestiame, e gli animali domestici, ma nei suoi autoritratti la visione tragica s’esercita prima di tutto su di sé, sull’uomo sgraziato, che pare avere qualche punto di tangenza con l’animale. In fondo, Ligabue vedeva gli animali, quelli domestici e quelli feroci, come una parte costitutiva, essenziale, del creato, che lui si impegnò a salvare in una sorta di “arca pittorica”, convinto che anche in essi palpitasse un’anima e che fossero parte essenziale, assieme alla vegetazione, del creato». «Antonio – prosegue il curatore – sembra precipitare, per gran parte della sua vita, in un baratro di dolore e di solitudine, all’interno del quale è costretto a condurre la maggior parte della sua esistenza. Non cede mai, tuttavia, alla tentazione della resa, della recisione del legame con l’esistenza, del “rifiuto della vita”, quando si arriva a scegliere un distacco risolutorio dalle sofferenze quotidiane. Cerca sempre, invece, di risalire faticosamente lungo le pareti scivolose di quell’abisso, costantemente alla ricerca di una dignità e di un riconoscimento che lui sente essergli dovuti».
Il catalogo della mostra è arricchito da alcune testimonianze documentarie provenienti dall’Archivio ex Ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, raccolte e pubblicate grazie alla disponibilità di Gian Maria Galeazzi, direttore del Dipartimento ad attività integrata Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, e della responsabile Chiara Bombardieri, che ricostruiscono la storia personale di Ligabue e la sua tormentata vicenda psichiatrica, nonostante la quale ha dato vita ad opere di straordinaria forza comunicativa, che ancora oggi affascinano per la loro moderna visionarietà. Il punto di vista clinico è stato anche approfondito da un testo dello psichiatra Domenico Nano.